giovedì 25 gennaio 2018
Un sacco brutto
3.500.000.000.000.000. Tre milioni e mezzo di miliardi. Di sacchetti di plastica. Meglio, di quote della tassa da 2 centesimi su quelli per le verdure. Se lo studio di Bank of America ( http://www.repubblica.it/economia/finanza/2018/01/14/news/climate_change_bofa_merril_lynch-186069812/?ref=RHPPBT-VE-I0-C6-P10-S1.6-T1 )sulle misure necessarie a parare la catastrofe globale del cambiamento climatico è corretto queste sono le dimensioni del problema. Per evitare che il termometro vada fuori scala, da 4 a 12 gradi in più, alla fine della vita dei miei figli, occorre intervenire subito e in maniera massiccia. Quella cifra all’inizio corrisponde ai settantamila miliardi di dollari che serviranno da qui al 2040 per realizzare la transizione ad un mondo sostenibile. Il problema dei sacchetti è quindi, se credete agli scienziati, risibile. Facendo rapide divisioni il costo per ripulire il pianeta vale circa 10mila dollari per essere umano attualmente in circolazione. O, se preferite, una cinquantina di annate del PIL del nostro paese, o più o meno un anno intero del Pil mondiale. E’ ovvio che i due centesimi sono assai meno del proverbiale ditale per svuotare il mare. Ma non devono essere presi sottogamba perchè ci interrogano su una cosa fondamentale. Questi soldi chi li deve tirare fuori? La soluzione sacchetto dice in maniera esplicita voi, noi. I consumatori finali. Prima indotti, inconsapevolmente, a portare il pianeta sull’orlo della distruzione, fin da quando Bramieri ci canticchiava “ma signora guardi ben che sia fatto di Moplen”, e adesso chiamati a pagare le pulizie. Chi questo modello di sviluppo, come si diceva una volta, ha voluto e su cui ha costruito immense fortune, niente. La vecchia regola del chi rompe paga non vale. Qualcuno ha fatto davvero il conto del costo che gli abitanti del pianeta dovranno pagare per il dieselgate, cioè solo per la parte truffaldina del sistema ecologico-economico di questi ultimi anni. Sarà compensato dalle multe? Possiamo dubitarne sulla scia della vicenda amianto? Perchè, sapete, l’allarme non è di oggi.
Tanto per dire il primo sulla famosa isola di spazzatura plasticosa che galleggia nel Pacifico è della metà degli anni ottanta. Praticamente coevo della scoperta del buco nell’ozono. Ma, siccome combattere i gas CFC non era tanto costoso per il sistema, il buco ormai è quasi chiuso. L’isola di plastica, invece, potrà tra breve essere utile come zattera per le popolazioni costiere. Ma anche a non voler essere “punitivi” nei confronti dei produttori, perchè sappiamo, “comprendiamo”, che è più facile fare pagare poco a mille che tanto a uno, non sarebbero quei 70mila miliardi di investimenti un momento d’oro per il ritorno dello stato imprenditore di cui parla Marianna Mazzuccato e di una economia non basata solo sui profitti di pochi ma sugli interessi generali? Perchè, sia chiaro, i 34miliardi di investimenti VW o gli 11 di Ford per le auto elettriche da qui al 2025, li pagherete tutti voi, a listino. Non sarebbe ora di un piano Marshall planetario, un patto, questo sì, a debito pubblico con le generazioni future ( che altrimenti se la passeranno davvero male,se ci saranno)?
lunedì 22 gennaio 2018
#Metoo
C’è qualcosa che ricorda la genuina sorpresa del marito manesco nelle reazioni che vengono dal Pd, dopo il no all’accordo in Lombardia da parte di Liberi e Uguali. Quel chiedersi perplessi, ma perché mi odi? Che ti ho fatto? E anche negli appelli dei padri nobili, che sembrano più i figli disperati delle coppie divorziate male, e che fantasticano di un’armonia familiare che non c’è mai stata. Un po’ come deciso da alcuni giudici di Torino, quello che è successo alla sinistra all’interno del Pd non configura il reato di maltrattamenti. In fondo una sberla ogni tanto non cagiona “un disagio continuo e incompatibile con le normali condizioni di vita” e perché si sarebbe trattato di “atti episodici” che erano accaduti “in contesti particolari.
Qualche voto di fiducia episodico, qualche legge particolare, anche rottamare la Costituzione non impediva le normali condizioni di vita. Per esempio Emiliano e Orlando pare siano ancora in discreta salute e Fassino è stato visto perfino un po’ più in carne.
Ma la cosa bella, almeno a leggere Gori, è la convinzione che l’odio sia una questione di gerarchie, di nomenklatura. Roba da D’Alema. E questo è davvero strano perché, anche a prescindere dal diverso atteggiamento nel Lazio, se qualcosa ci dicono i sondaggi, già in calo, per la formazione di Grasso è proprio che il potenziale elettorato è molto, ma molto, più incazzato rispetto a dirigenti che hanno trangugiato quasi tutto in questi anni, a partire dal novembre 2011 e fino alle più recenti votazioni sulla legge elettorale, almeno per quel che riguarda Boldrini.
Annegati nella loro colossale autocostruita fake news dei Mille giorni, i Democratici sono convinti che tutto questo un po’ sia piaciuto, che diceva di no ma ci stava, e poi sapessi come sono diffuse le fantasie di sottomissione. Per la gente in carne e ossa, invece, sono stati anni di diritti persi, di stipendi calanti o scomparsi, di lavori a tre mesi, tre settimane, tre giorni, pensioni che si allontanano come la tartaruga da Achille. Per cui, per questa rabbia immensa, come direbbe il Cyrano di Guccini, non basta copiare lo slogan di Corbyn, bisogna copiarne anche i comportamenti politici. “Instead of career they had causes”.
sabato 6 gennaio 2018
Meraviglie. La penisola dei tesori
E così, tra un paio di mesi, ci toccherà vedere la quarta resurrezione. E Matteo Renzi si aggiungerà ad Occhetto, D’Alema, Veltroni e Bersani nella lunga teoria degli sconfitti da Berlusconi. Un Berlusconi ormai transitato dalla chirurgia estetica alla tassidermia, identico nel colore del legno e nella conciatura della pelle alle sedie di Cantù che ornavano i tinelli del proletariato anni settanta. Accompagnato da tipi che fanno ripensare a Fini e Bossi con la reverenza che si riserva ai Pari d’Inghilterra. Siccome si tratta di un cinepanettone stravisto, dal titolo La gioiosa macchina da guerra a vocazione maggioritaria, non ci sarebbe neppure da spendere due parole per trama e critica. E tuttavia il regista è riuscito in una operazione miracolosa. Fare peggio delle altre volte. Rendersi del tutto inutile. Perchè tra tutte le scelte che troveremo sulle schede del Rosatellum, una sola non serve veramente a niente. Il voto al Pd. Perfino il voto a Liberi e uguali/Libere e uguali, se no mi si offende la Presidenta, ha un suo perchè. Abbattere Renzi, anche a costo di votare per una banda di complici,, prima e di succubi poi della globalizzazione che adesso, ci spiegano, è diventata tanto brutta, sapesse signora mia. Votare per la sedia di Cantù, è un po’ come richiamare Valcareggi dopo Ventura, serve almeno a sentirsi giovani come eravamo un quarto di secolo fa. Come su un muro sbrecciato della ex Jugoslavia “torna Tito tutto è perdonato”, torna Silvio. Condanne, mignotte, braccia destre in galera, lo spread, i caroselli e i girotondi, ci ha detto Scalfari, sono da dimenticare e noi ci fidiamo. Oh se ci fidiamo. Perchè così fermiamo i barbari, rozzi, ignoranti pentastellati. E ci prendiamo Salvini con la Meloni di contorno. Votare per i rozzi, dio se lo sono, è, sarebbe, potrebbe essere, l’unico voto utile per fermare costoro. Ma siccome non sono Macron dio ve ne scampi e liberi. Che poi non siano Macron, sarebbe tutto da vedere perchè l’odio congenito per lo Stato, inteso come erogatore di servizi e beni ce l’hanno. Mi è cascato l’occhio su un elogio di Giggino a Cottarelli e alla spending review, un ziczaccare di forbici da 50 miliardi di sprechi e corrruzzzzione che farebbe inumidire l’occhio al lugubre Monti. Ma comunque votare per loro significa, per chi lo fa, provarci. Male che vada Spelacchiati lo siamo già quasi tutti. Votare Pd non serve a niente. Non evita la vittoria di nessuno, non contribuisce alla vittoria di nessuno. Mission accomplished, indeed.
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