martedì 9 maggio 2017
L'arc de triomphe
E’ dal tempo di quella di Obama che non si vedevano erezioni paragonabili. Le torri Eiffel della speranza e del compiacimento svettano su un panorama che era stato fin qui mesto e pesto. Ora, che questa tumescenza si verifichi non per Obama ma per Macron è già un segno dei tempi. Dal primo presidente nero di un paese ad una generazione dall’apartheid, ad un banchiere a più due secoli dall’arricchitevi di Guizot. Comunque il problema non sta negli esordi. A differenza di tutti i colleghi per cui le elezioni sono uno straordinario momento di coscienza popolare solo se vanno come uno spera, io non mi metterò certo a dire che i francesi hanno sbagliato, o che sono ignoranti come gli americani e gli inglesi di Trump e della Brexit. Prendo atto che posti di fronte ad una scelta chiara hanno chiaramente scelto. Hanno, certamente, ottime ragioni. Una delle quali, e questo va sottolineato, che, a differenza degli anglosassoni che non l’hanno mai provato sulla pelle, sentono ancora il valore della pregiudiziale antifascista. Da italiano, come ho ricordato nell’ultimo contropelo questa pregiudiziale da noi è tanto dichiarata quanto risolutamente disattesa almeno dal 1993, ne sono felice e spero che tutti i macroniani locali la vogliano applicare nel prossimo futuro. In senso generale il voto di Parigi indica che l’ondata populista, per ora e per un verosimile futuro, non raggiungerà i palazzi del potere. Ha quindi ragione Munchau a scrivere che il voto francese è la prima vera buona notizia per l’Unione europea dall’inizio della crisi del 2008. Capisco un po’ meno l’entusiasmo di chi si considera di sinistra, all’idea che le macerie della crisi, il carnage avrebbe detto Trump, si lascino dietro un Europa più a destra in ogni senso. I Conservatori inglesi, sconfitti nel referendum da loro indetto, banchetteranno sul cadavere di labour che ha fatto sull’argomento il pesce in barile, perdendo sia i brexiters proletari che i remainers intellettuali. La Spagna, rifiutando l’accordo Podemos Ps, si è riconsegnata a Rajoy. La Francia passa da un soi disant ma comunque socialista a un tecnocrate dichiarato, mentre la sua destra si trasforma da gaullista a lepenista. L’Italia vede il suo voto costituzionale, totalmente ignorato e irriso dalle istituzioni, con lo sconfitto in capo che torna a dettare tempi e legge. Ecco: il problema non sono gli esordi sono gli sbocchi. Otto anni di Obama ci hanno portato a Trump, segno che qualcosina non deve essere andata come l’abbiamo raccontata. Otto anni di crisi da questo lato dell’Atlantico ci portano a Macron, cioè al cambio di locomotiva ma sullo stesso binario ideologico da cui veniamo. E su cui correranno probabilmente più forti. Io ho deciso. Vado anch’io sanza meta, ma da un altra parte
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