lunedì 22 maggio 2017
Il regno di Id
Secondo l’immortale striscia del Mago Wiz: “ Maestà come va la guerra alla povertà? La sto vincendo. E tutti quei poveri là fuori? Loro l’hanno persa.”
Mario Draghi ci ha annunciato qualche giorno fa che la crisi è finita. Ha ragione. E’ finita. Nel senso che con il voto in Francia sono finite, nel ragionevole futuro, le possibilità che la costruzione dell’Euro entrasse in crisi dal punto di vista politico. Qualche anno fa, al culmine della crisi dei debiti sovrani, Paul Krugman da economista si stupiva della sopravvivenza dell’Euro, una insensatezza economica. Ma poi ammetteva, quello che lo tiene in piedi è l’immenso investimento politico che ha comportato. Come si è visto la diagnosi era corretta. Solo una perdita catastrofica sul piano politico avrebbe potuto eliminare l’errore economico (che poi errore non è visto che la crisi da esso parzialmente indotta è servita allo scopo che l’inventore della teoria delle aree valutarie ottimali gli attribuiva, quello di essere il reaganismo che avrebbe demolito l’Europa del welfare). Questa perdita politica c’è stata, ma non in misura sufficiente. In Francia oltre il 40% degli elettori sui due rami dello schieramento si è schierata contro la struttura vigente, ma al secondo non si è sommata. Non voleva, e se anche avesse voluto tutto è stato fatto per renderlo impossibile. E Marine Le Pen nei giorni successivi alla sconfitta non ha mostrato maggior spessore di Tsipras dopo la vittoria. Gli orizzonti quindi si allontanano politicamente di un quinquennio, il secondo dall’inizio della crisi europea, quasi il terzo dallo scoppio di quella globale. Potrebbero accorciarsi ma solo al prezzo di una nuova scossa economica che, francamente, nemmeno un tantopeggista come me riesce ad augurarsi e ad augurarvi anche se in parte ce la meriteremmo. Il sistema è dunque riuscito a inglobare e digerire la più potente malattia dai tempi del 68. Lo ha fatto in buona parte grazie a noi. Dalla Grecia agli Stati Uniti le varie sinistre, dai portuali del Pireo agli attori di Hollywood, hanno tremato sull’ultimo scalino. Ad Atene, quindi, la società civile ha fatto un salto indietro di mezzo secolo. A Washington il salto è temporalmente irrilevante, l’America fa esattamente lo stesso che ha sempre fatto, guardate i traffici di armi con i Sauditi alla faccia del 11 settembre e delle sue povere vittime, ma il lavoro dei globuli bianchi di CIA e FBI ad ogni minimo contatto di Trump con i russi è l’equivalente moderno dei tre proiettili di Dallas. Nemmeno dalla Casa Bianca si può sfidare il complesso militar industriale. Caligola non può portare le legioni a raccogliere conchiglie.
Ma adesso tocca tornare alla striscia di Parker e Hart. E’ finita, d’accordo. Ma quegli straccioni nel cortile del castello? Quell’Italia, per stare nel nostro piccolo, disegnata dai vignettisti dell’Istat. Impoverita, proletarizzata visto che si fatica a rintracciare il ceto medio gemma del nostro miracolo economico. Spaventata e incattivita. Uno spazio sociologico immenso per una sinistra che tornasse a fare il suo mestiere di pedagogia delle masse. Dato che le masse anche se ridotte ad una infinità di individui continuano ad esistere, così come continua ad esistere la pietra anche se noi sappiamo della sua struttura atomica. Una sinistra pedagogica per la buona causa degli sconfitti della crisi, invece che la sua versione corifea dei vincenti ha bisogno, oltre che di idee nuove e del recupero di quelle vecchie, di tempo. Ma oggi è totalmente preda dell’orizzonte corto delle elezioni. Un Marx, un Lenin, un Togliatti o un Berlinguer, oggi, non avrebbero una seconda chance. Tutto si deve prostituire al miraggio del governo. E’ quello che con strazio vedo accadere in Gran Bretagna. Un programma come quello di Corbyn, for the many not for the few, assolutamente condivisibile e probabilmente capace di invertire il pendolo avvelenato del tatcherismo, sarà accusato di essere il responsabile della possibile sconfitta, che invece sta nella sottovalutazione della rabbia sociale che ha portato alla Brexit tema che doveva essere dei laburisti e non di quel pagliaccio di Farage, e, con grande piacere del Re di Id, messo da parte invece di stare lì ad attendere la prossima, inevitabile, crisi come pietra di paragone di quello che si può fare di diverso e migliore. E avremo perso davvero.
2 commenti:
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ingeneroso chiamare pagliaccio uno come Farage che ha combattuto una guerra a Bruxelles e l'ha vinta, con mezzi assai più limitati di quelli degli avversari..
RispondiEliminaPer me è una specie di Davide che ha battuto Golia,
quale che siano le sue preferenze liberiste in economia..
Non facciamo come con i radicali che si assumevano la vittoria dei referendum indetti dalla DC. La battaglia non è stata vinta da Farage, ma è stata persa da Cameron oltre che dalla ottusità di Bruxelles, nei cui confronti il mio giudizio come si capisce è assai peggiore del semplice pagliaccio. Come si vedrà dalle prossime elezioni l'UKIP non è politicamente nulla al di là del mono tema della Brexit. Comunque ti concedo che si tratta di un eccellente oratore
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